Un’analisi condotta da Cerved su 683 mila società di capitali indica che i processi di riconversione richiesti nel nuovo contesto della transizione ecologica potrebbero costituire un serio elemento di rischio per 57 mila società (l’8,4% dell’ampio campione esaminato), in cui si concentra un’alta quota dei debiti finanziari del sistema delle imprese (285 miliardi, pari al 31% dei debiti complessivi). Gli score di rischio creditizio e i bilanci evidenziano che la maggior parte di queste società (35 mila, il 5,1%) non ha i fondamentali necessari per finanziare gli investimenti necessari per la riconversione senza compromettere il proprio equilibrio finanziario.
Sono i principali risultati di un’analisi basata sulla Tassonomia UE sulle attività sostenibili e su un’ampia serie di informazioni aggiuntive, che hanno permesso alla società guidata da Andrea Mignanelli di costruire un sistema che misura il grado di esposizione delle imprese ai rischi connessi al processo di transizione.
I processi di trasformazione riguarderanno in primo luogo le imprese di dimensione maggiore: l’incidenza di società a rischio alto e molto alto è pari al 16,5% per le imprese con più di 250 addetti e scende al diminuire della dimensione media, fino a toccare il 7,2% tra le micro-aziende (meno di 10 addetti). Ancora più alta l’incidenza dei debiti finanziari, che tocca il 37% nella fascia delle grandi imprese, contro quote tra il 16 e il 20% tra le PMI e le micro.
Dal punto di vista territoriale, il Mezzogiorno è l’area in cui le attività a rischio transizione incidono di più, sia in termini di numerosità delle imprese (18.429, il 10,3% del totale) che sul piano occupazionale, con circa 322 mila addetti coinvolti (16,3%), e finanziario (41,2%). In alcune province specializzate in attività caratterizzate da elevate emissioni, la trasformazione dovrà essere particolarmente radicale: quelle che nei prossimi anni potrebbero subire i maggiori costi della riconversione produttiva sono Potenza (29,4% degli addetti in attività ad elevato rischio transizione), dove è forte la concentrazione del settore automotive, e Taranto (29,3%), in cui pesa la lavorazione dell’acciaio, seguite da Chieti, Campobasso, Avellino, Frosinone, Livorno e Terni, in cui più di un addetto su cinque è impiegato in imprese ad elevato rischio transizione.
Combinando le valutazioni sul rischio di transizione con quelle sul rischio di credito e sui bilanci, è possibile individuare le società che dispongono dei margini necessari per finanziare gli investimenti per la riconversione produttiva. Tra le 57 mila imprese a rischio di transizione, sono presenti 22 mila società con margini di indebitamento aggiuntivo che potrebbero finanziare investimenti per 20,6 miliardi di euro. Per le altre 35 mila società, i costi della transizione rischiano di compromettere gli equilibri economico-finanziari.
I dati di bilancio indicano anche che la pandemia ha ridotto la capacità delle imprese di investire nella trasformazione produttiva, con un calo di 1,1 miliardi per le società a rischio transizione (-5,1%). Gli impatti risultano particolarmente consistenti in alcuni dei settori maggiormente colpiti dalla crisi, come l’industria conciaria (-40%), la componentistica auto (-36%) o le fonderie (-31%).